A CUDDURA

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Preparazione

Ingredienti per 10 persone:

kg 2 di farina

10 uova

gr 200 sugna (o burro)

gr 600 zucchero

gr 20 ammoniaca per alimenti

1 busta di lievito

1 busta di cannella

1 busta di vaniglia

1 buccia di limone grattugiata

1/2 bicchiere di vermouth

un po’ di cimino (se si trova)

gr 100 di diavolina

 

Rompere le uova in una terrina. Aggiungere la sugna fredda (sciolta precedentemente a bagnomaria), lo zucchero, la cannella, la vaniglia, la buccia grattugiata di limone, il vermouth, il cimino e piano piano aggiungere la farina,  più la busta di lievito e l’ammoniaca per alimenti. Impastare (consistente), far riempire le formine desiderate (animali, fiori, o semplici ciambelle). Mettere un uovo con la buccia oppure il tuorlo sodo in mezzo alla formina. Ricoprirlo con listerelle di pasta e spolverare con la diavolina.

Cottura in forno caldo da sei a dieci minuti.

 

Ero a letto da due giorni con la febbre. Avevo circa otto anni. Marietta che stava con noi in famiglia, ma per me era più che una mamma, me l’aveva detto: “Non ti pozzu dari a cuddura no letto, ti squagna”. Ma piangevo come un vitello e perciò ebbi il dolce a letto. Naturalmente non lo mangiai. Per me era come il peluche per i bambini di oggi. E fu un disastro. Ero appiccicata per via dello zucchero sciolto. E sciolsi pure l’ira di mia madre che in quanto a rimproveri era sempre pronta. Ma Marietta, come sempre, fu dolce. “Chi ci vuliti fari, signù? A carusa è malata”. L’unico episodio negativo da rapportare a questo allegro dolce pasquale. Per il resto, ricordi belli. Il vestitino di seta rosa con le arricciature e i nastrini alla scollatura. La collanina d’oro da indossare solo a Pasqua e a Natale. La processione di Pasqua con un crocefisso alto dieci metri (lo chiamavano “un tronu”) che ragazzotti, in belle spalle, portavano sudando e cantando. Le bancarelle di ceci, noccioline e fichi. Il sacro e il profano innocentemente insieme.

Tornando a cuddura: “Mettici il vèrmut” gridavo a Marietta e lei non lo metteva mai: “Si na carusa, t’imbriachi”. Però mi teneva sempre contenta. Al posto del vermouth mi metteva una bella colata di cioccolato. Ecco che la ricetta veniva variata. Ma era così buona! Penso che non c’è dolce più adatto per la festa di Pasqua. Intanto si può fare a forma di animali. Marietta mi faceva scegliere: “Oggi voi a capretta o u gattu?”. “A capretta” dicevo io e aspettavo tutto il tempo davanti al forno per vedere quando usciva. “Levati davanti se non nfurnu puri a tia”. E rideva. Io un poco meno. Poi usciva caldo e rosso con quell’occhio in mezzo (il tuorlo d’uovo) che sembrava il sole e tutte le perline colorate ad arcobaleno. Scintillavano come la mia vita che ora è meno lucente. Ma un appuntamento con la gioia non si scorda.

 

 

Antonietta Dell’Arte, poeta, vive a Milano.