Arturo non concepiva che si potesse
turbare i suoi traffici. Per un po’
ti lasciava cantare, poi t’interrompeva:
la questione – diceva – si sarebbe affrontata
davanti a un piatto di culatello
e di tortelli fumanti col burro e la salvia;
per il ripieno il meglio è l’ortica...
Sì, ti proponeva una cena in un certo locale,
una cosa da favola, che soltanto lui conosceva
tra Bacedasco e Castell’Arquato...
Fine della trasmissione.
Che fosse un bandito
lo si sapeva, alla tutela dei lavoratori
pensassero gli altri lui si occupava di affari:
export-import da una parte all’altra
della cortina. Però, che simpatico era!
E lo rivaluto oggi, che troppo spesso
mi scaraventano addosso questioni e problemi
fantasiosi progetti... e ce ne sono giĂ tanti
agli archivi o irrisolti... ingrassano i mucchi
di carta sulla mia scrivania... Per un po’
li lascio parlare, mostro attenzione;
poi li invito a scendere al bar a bere un caffè
dove incrocia altra gente, altre razze,
turisti, avvocati, il coiffeur Chez Mariò
il fuochista della caldaia col bicchierino
di grappa... il problema svanisce... si perde.
Un caffè! In via Vitruvio! E invece
Arturo sapeva quel che voleva: l’export
ed import da una parte all’altra della cortina
e al fresco, sulle colline, culatello e tortelli.
E oggi, magari, osservando un corteo
di lavoratori è capace di dire
che ai suoi tempi allora sì che si sapeva
fare la lotta di classe!
Alberto Bellocchio, poeta, vive a Milano.