SENZA TITOLO

  • FAESSLER
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Preparazione

Infine...

Però la mia ricetta non è esattamente una ricetta, ma più una storia legata ad un rifiuto di usare ricette, un rifiuto originato dalla mancanza d’interesse per la cucina considerata come una perdita di tempo e forse include anche la negazione di corrispondere ad un’immagine di donna che si trova al di fuori delle mie esperienze personali. Ecco perché ho messo tanto tempo per rispondere alla tua richiesta, dovevo prima capire che la ricetta poteva anche essere una non-ricetta. Dunque, nonostante questo mio rifiuto, che per forza di cose (con quattro figli) nel frattempo ho superato, a volte brontolando e stringendo i denti, mi piace mangiare cose buone e mi godo i momenti in cui sono invitata a partecipare alla pappa fatta da altri.

Anni fa, per l’esattezza nel 1986, studentessa di belle arti, lontana dall’idea di figli e famiglia, passavo le ferie del semestre d’estate nel podere dei miei, in un piccolo paesino toscano. Avevo ventitre anni e mi godevo la vita, ero curiosa e molto vogliosa di fare dell’arte, fare l’artista, investire tutte le mie energie in questa cosa, che più che una scelta era (e continua ad essere) un obbligo esistenziale, una spinta interiore.

Essendo il nutrirsi un male necessario, avevo sviluppato delle tecniche sul come arrivare a questo scopo con minimi sforzi finanziari (vivevo con pochissimi soldi) e con investimenti temporali altrettanto minimi. In pratica mi nutrivo con riso integrale arrichito con diversi tipi di verdure. Il massimo d’eccitazione era una manciata di grana padano grattugiata sul risultato ottenuto. Se rimaneva un avanzo, lo riscaldavo il giorno dopo; se non era sufficiente, ci aggiungevo del riso nuovo con verdure. E così via. Funzionava come un perpetuum mobile, tutti i giorni uguale.

In questo periodo conobbi il mio futuro marito, e padre dei primi due figli, ad una proiezione su schermo gigante dei mondiali di calcio, in paese. Chiacchieravamo al bar e così iniziava la nostra storia. R. si presentò tutti i giorni seguenti dopo il lavoro a casa mia e occupò il mio spazio solitario. I miei sentimenti furono misti; da un lato mi godevo la compagnia dopo tante settimane di isolamento, dall’altro, rubava il mio tempo di concentrazione, che proteggevo come un pezzo di porcellana preziosissimo. Questo rifiuto si esprimeva tra l’altro nel fatto che non investivo il mio tempo in questa relazione. Continuavo a fare le mie cose anche durante la sua presenza e, soprattutto, il povero R., figlio di un’ottima e appassionata cuoca toscana, dovette contentarsi del mio riso spappolato, scaldato x-volte, e ciò per settimane. Lui si rassegnò eroicamente a questo andazzo, senza lamentarsi mai, nel difficile tentativo di conquistarmi. Dopo circa due settimane, chiese timidamente se gli permettevo di fare un piatto di spaghetti, desiderio subito concesso senza esitazione. E infatti negli anni seguenti fu spesso lui a cucinare e ciò con passione e buon gusto. Il fatto che la nostra storia finì, prova che non tutto l’amore passa dallo stomaco e che nella vita contano anche altri valori.

 

Barbara Faessler, artista, vive a Milano.